Uno di questi giorni finirò sotto a un autobus perché, nel tragitto che mi conduce dal portone di casa alla fermata del tram per andare a lavoro, c’è una strada che attraverso senza andare sulle strisce. Questo perché, come in ogni nazione del mondo, gli architetti, soprattutto quelli urbanistici, fanno le cose belle invece che le cose intelligenti, quindi secondo loro io dovrei fare un giro di circa 200 m per arrivare dall’altro lato dove c’è la mia fermata. E siccome questo tragitto lo faccio di solito alle sette del mattino ecco, no, non ho voglia di perdere ancora tempo, devo guadagnarmi al più presto il mio posto sul sedile a sonnecchiare nel tepore degli effluvi altrui in attesa di imbracciare il bisturi.
A giugno scorso, un giorno in cui non lavoravo, sono uscita sotto il sole cocente con nello zainetto (quello da me cucito con la stoffa senegalese) la pennetta contenente la prima versione di una robetta che avevo scritto come un’ossessa negli ultimi due mesi. Di fronte la fermata del tram c’è l’unica copisteria che conosco della zona. Emozionata e trepidante sono andata a farmi stampare la prima copia della storia di Ale & Pablo, e già avevo con me la penna rossa per cominciare la prima, vera, profonda correzione. Che correggere a video l’avevo fatto già duecento volte (iperbole), ma su carta è un’altra cosa.
E non ci posso fare niente: ogni volta che passo da quella strada, rischiando la morte sotto a un autobus, appena metto piede, in salvo, sul marciapiede di fronte, assonnata, stanca, già col pensiero alle pance che aprirò in giornata, mi vengono in mente Ale & Pablo, con dolcezza. Li immagino con dolcezza, tutte le scene che ho scritto su di loro e quelle che sono rimaste nella mia testa, a farmi compagnia.
Neanche Pavlov riusciva a condizionare così bene i suoi cani. Io sbavo di meno, senza dubbio, ma vi assicuro che il neurone si accende immediatamente e comincia a rilasciare tutti i suoi bravi ioni.
E adesso, mentre attraverso e rischio la vita su quella strada, penso anche che presto, forse, tanta gente leggerà di loro e a questo pensiero non solo il neurone si accende, ma anche il cuore – ma poi lo sapete che l’emozione che proviamo in mezzo al petto è piuttosto dovuta alla scarica del plesso solare? Ale non lo sapeva, ma lo imparerà.
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Che bello correggere i testi. Io mi rilasso come un feto nel grembo materno. Non è come con le tesi o i lavori dove hai obblighi più o meno cogenti e impellenti. Quando metti mano ad un tuo testo, ti immergi, vivi con i personaggi. Il taglio di una parola è dolorosissimo (bisturi?) così come decidere il colore di un vestito o una musica di sottofondo sono esperienze dolcissime.
Buon (bellissimo) lavoro.