L’odore della pioggia sull’asfalto ancora rovente mi ha sempre affascinato.
Ricordo ancora quei periodi estivi passati in completa allegria in un piccolo paesino di montagna, completamente privo di attrattiva. Il paese non aveva niente, ma, per il piccolo me, aveva tutto quello che serviva: strade deserte dove poter giocare a palla o correre in bici, amici con cui giocare raggiungibili a piedi e senza tormentare di preghiere mia madre per un passaggio, temperature calde ma non asfissianti come quelle della capitale… Passavo lì ben due mesi l’anno, quelli estivi. Partivo con mia madre, casalinga dai sogni artistici infranti, ma con un grosso amore per me, suo figlio, mentre mio padre ci raggiungeva nei fine settimana, cioè quando la ditta per il quale lavorava gli dava via libera.
Quelle estati erano caratterizzate da giocate a guardie e ladri, da nascondini di notte, da funghi raccolti e poi mangiati, da barbecue con i pesci pescati la mattina… e da Lei. Parliamoci chiaro, si trattava del classico amore estivo: la ragazza di un’altra città che vedevo solo quei due mesi d’estate e che, nel resto dell’anno, diventava solo un vago ricordo idealizzato, lontano qualche centinaia di chilometri. Ripensandoci ora, non avevamo granché il comune e, dovessimo incontrarci e metterci insieme adesso, non dureremmo neanche un mese come coppia. Tutt’ora fatico a ricordarmela, a ricordarmi la sua voce o il suo volto e, soprattutto, fatico a ricordarmi il cognome. Ho solo un nume: Melissa.
Gli amori giovanili sono strani e particolari. A ripensarci da adulti, ci si ride sopra. Ma il me bambino si struggeva per lei. Sì, avete capito bene: struggeva. Nonostante non avessi raggiunto nemmeno l’età del primo pelo sul corpo, avevo già un’idea drammatica dell’amore. Sognavo di diventare il suo eroe con spada ed armatura e di salvarla da un drago; di imparare magicamente a cantare e, accompagnato da una musica nata dal nulla, cantarle il mio amore (che, all’epoca, seguiva le parole degli 883, tristemente); di diventare alto, forte e virile solo per conquistarla con il mio atteggiamento; di sentirle dire, improvvisamente, che mi aveva sempre amato e che eravamo stupidi entrambi a non essercelo mai detto. Leggevo un racconto di avventura e speravo di diventare come il protagonista, giocavo ad un videogioco e sognavo di avere le capacità dell’eroe per stupirla. Di notte, mi contorcevo nel letto mentre, nel mondo onirico, diventavo chiunque o facevo qualunque per conquistarla.
Una volta venne da me, si stuzzicava le mani ed aveva le guance arrossate. Mi chiese di parlare, perché doveva dirmi una cosa importante. La mia mente era già partita per la tangente, immaginando una dichiarazione alla anime giapponese. Ricordo tutto di quel momento. Il cuore che mi saltava in gola, battendomi sul gozzo in modo scomodo; le mani che mi diventarono così fredde da poter ricongelare il freezer messo a sbrinare; l’odore creato dalla pioggia dell’acquazzone che si dimenava fuori dalla stanza, a contatto con l’asfalto arso ancora dal sole e che si mescolava al profumo di Melissa, il profumo della sua pelle.
«Ecco, dimmi.» Esordii. Ero così agitato: speravo parlasse subito, ma, al contempo, avevo paura di cosa volesse dirmi.
«Davide, tu cosa pensi delle differenze di età?» Era una domanda ambigua. In quell’età, già un anno di differenza può pesare sulle scelte di una coppia. Melissa aveva solo un anno meno di me e feci di ciò una mia arma.
«Beh, penso che lei debba essere più piccola di lui.» Dissi, cercando di usare un tono serio e pacato alla Piero Angela «E credo che la differenza di un anno sia perfetta.»
«Sono d’accordo.» Era d’accordo. Questo non era una prova in più su quello che stava succedendo? Avevamo un anno di differenza, noi. Una differenza perfetta per entrambi. Già mi immaginavo le sue parole: “perché mi piaci, Davide, ma avevo paura che mi ritenessi troppo piccola per te”. E come potevo ritenerla piccola? Io ero certo di amarla.
«Mi dovevi dire solo questo?» Cercai di spingere perché continuasse a parlare, mentre lei, sicuramente colta da un momento di imbarazzo, si era zittita.
«No. In realtà dovevo dirti un’altra cosa.» Continuava a stuzzicarsi le mani (lo faceva, quando era nervosa) ed a diventare più rossa. Io, invece, volevo solo abbracciarla (cosa che, allora, era il corrispettivo di baciarla improvvisamente, posandole dolcemente una mano sulla sua guancia).
«Dimmi, non aver paura.» Incalzavo, sentendo nella testa le parole che mi ero immaginato e che speravo lei dicesse.
«No… è che… Cioè, insomma, mi piace Stefano e speravo tu potessi scoprire se gli piaccio anche io.»
Fine delle trasmissioni. Tutti i miei sogni sogni di avere una fidanzatina che si facevano spazio nella mia testa come delle puntate di una soap opera si infransero addosso all’immagine di quel ragazzino meno alto di me, mento intelligente di me, meno profondo di me e, soprattutto, meno interessato a lei… di me. Ma, come un perfetto Cyrano, la aiutai in questa sua bislacca voglia di mettersi con Stefano, cercando di carpire l’interesse del mio rivale e a cercare un modo per cui lei potesse piacergli.
L’odore della pioggia sull’asfalto ancora rovente mi ha sempre affascinato. Mi riporta a quei momenti. E mi ricorda quanto, comunque, fosse bello penare per amori giovanili.
- L’odore della pioggia sull’asfalto rovente - 15 Ottobre, 2018
@laren , questo è il mio parere critico, soggettivo.
Il tuo racconto crea aspettativa, soprattutto all’inizio. Il profumo di pioggia sull’asfalto, l’estate lontano dalla città, la madre casalinga dai sogni infranti. Presupposti per un qualcosa di bello e catastrofico. Qualcosa alla Ammaniti vecchio stile. Poi purtroppo il tutto converge verso qualcosa di già sentito. Gli amori giovanili, il timore, la timidezza. Un tema del genere secondo la mia opinione personale, dovrebbe essere trattato in modalità nuova, magari totalmente ironico, magari totalmente catastrofico, con un imprevisto dissacrate. Gli 883 che a te oggi sembrano tristi, sono adorati anche da Umberto Eco.
Poi ci sono dei refusi che staccano il discorso ad esempio il doloroso “facevo qualunque per conquistarla” .
Di buono resta “L’odore della pioggia sull’asfalto ancora rovente” che anche a me, piace.
Ogni critica è soggettiva, ma, fin quando non soni un attacco insensato o una cattiveria, sono tutte da prendere e mettere nel proprio bagaglio personale.
A parte i refusi (colpa mia che ho scritto e inviato, rileggendo solo una volta) e gli 883 (che sono parte della mia infanzia e che, come Eco, adoro), devo ammettere di non essere molto contento del racconto. Diciamo che avevo un bel avvio, poi il “semi-autobiografico triste” ha preso il sopravvento sulla narrazione.
Ma è il primo passo verso qualcos’altro.
Grazie comunque di aver letto e speso tempo per scrivere il tuo parere 🙂
Ti dirò, invece io l’ho trovato abbastanza ironico!
Anzi l’ultima frase proprio, che riporta il tutto sulla serietà, secondo me rovina un po’ il tono assurdo del finale.
Non male 😛