Avrei voluto essere l’orlo velato della tua gonna
o il delicato rossetto che ti imperlava le labbra,
quel rosa che mascherava l’ombra di un capriccio,
insignificante meccanica e diabolica sottigliezza;
e anche con poca, pochissima, lealtà avrei attraversato
di nuovo una notte e un sereno mattino
non la lama fulminea di una enigmatica viltà,
bugiarda ancor più dei miei animi indistinti.
Oh, lo ammetto, sono burattino d’emozioni,
karmico assassino o animatore ciarlatano, ma si può dire
di me che ho tessuto ogni tua parola
in una lamina profumata d’argento, ogni tua
vagabonda, femminile e adamantina parvenza.
Di me si può dire che ho cromato le stelle cantando
l’inno selvaggio dei bastardi infedeli, poiché
mai davvero sono riuscito a domarmi, ancora cedendo
al bell’incanto che ha spezzato le mie ali…
Eppure, di me si può ammirare l’inchiostro redentore
che cospargo con un segno sugli animi dannati
che striscia gocciolando sempre in fondo, più in fondo
laddove non dimentico l’universo dei miei anni.
Avrei voluto essere il tuo umore incolore, persino
il tuo sorriso dalle mille espressioni, o indifferente animale serale;
ma sono solo un poeta, e tu una musa appassita
disseminata tra i miei versi come cenere o polvere amara.
Assapora la mia linfa, la mia umida ingenuità
laddove fingi di essere madida di delicatissima stima.
E l’odore che toccherà le tue intense, laconiche eccitazioni
si poserà sulle tue ginocchia, come un’esule bambina.
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